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MEGLIO GIOCARE O RESTARE IN PANCHINA?

Mettersi costantemente in gioco non è una operazione da poco. Ci vuole una buona dose di coraggio, di determinazione, di autostima, oltre ad una virtù che in una società che viaggia perlopiù sull’apparenza sta diventando merce rara, poco coltivata, in via di estinzione. Si chiama umiltà ed appartiene alla “persona in grado di riconoscere i propri limiti, rifuggendo da ogni forma d'orgoglio, di superbia, di emulazione o sopraffazione”.


È solo partendo da questo assunto, dalla consapevolezza di chi siamo e dei nostri limiti che possiamo capire come affrontarli, superarli per raggiungerne di nuovi, più elevati. Questa è la rappresentazione del cosiddetto “mettersi in gioco”. È il gioco delle sfide a realizzare se stessi in forme diverse, assecondando le proprie tendenze, le proprie passioni, i propri sogni. È un viaggio perenne dove le scoperte sono all’ordine del giorno, a volte positivamente sorprendenti, in altre occasioni all’opposto. Sono scoperte determinate dalla strada che abbiamo deciso e voluto intraprendere, dalla voglia di conoscere, di esplorare, di soddisfare la nostra sete esperienziale.


Diciamolo, vivere nella zona di comfort è molto, ma molto … infinitamente più semplice, un po’ come stare comodamente seduti su un divano guardando inebetiti le immagini fluire all’interno di un monitor per ore e ore. Ansia e stress azzerati, ma condizione che può dar luogo inesorabilmente ad una serie di effetti collaterali pericolosi: apatia, stanchezza, insoddisfazione, una generale sensazione di malessere mentale e a volte anche fisico, sono i primi effetti dell’essere che pensa di vivere ma in realtà semplicemente sopravvive. Modalità “vegetale-on”.

Lo stadio successivo della patologia vede l’insorgere di una serie di fenomeni molto più evidenti e facili da diagnosticare: lamento, insoddisfazione, scarico delle proprie frustrazioni sugli altri in famiglia e al lavoro. Una terribile sequenza di disagi comportamentali che in molte persone si cronicizza nella terribile, come direbbe il rag. Ugo Fantozzi, sindrome della vittima.


La morale è molto semplice. Ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere se alzarci per giocare oppure se restare seduti comodamente in panchina. Certo, entrando in campo alziamo il tasso di rischio infortunio ma il piacere di poter partecipare attivamente al nostro successo e a quello della nostra squadra, segnando, facendo un assist o salvando un gol, non ha prezzo. Tutto questo i panchinari possono solo soffrirlo ed invidiarlo; per questo motivo oltre che agli avversari in campo, bisogna prestare molta attenzione ai panchinari professionisti, una categoria di apparenti amici, sempre pronti a giudicare da lontano e di solerti solo nella creazione di problemi.


Meglio giocare o restare in panchina? Meglio vivere o sopravvivere? La scelta sensata è solo e solo una. A voi la scelta.


NP

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